Encefalopatia da cirrosi e asse
intestino-cervello
DIANE
RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 18 gennaio
2025.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Nei pazienti affetti da cirrosi epatica la complicanza encefalopatica
è frequente, e nelle casistiche su grandi numeri raggiunge una proporzione che
varia tra il 50 e il 70% del totale dei pazienti con evoluzione cirrotica
dell’epatopatia. Uno stretto rapporto tra disbiosi del microbiota
intestinale e sviluppo dell’encefalopatia epatica è noto da lungo tempo, ma
il meccanismo di questo rapporto e la sua eventuale valenza patogenetica non
sono stati accertati e definiti con precisione.
L’importanza clinica di un tale accertamento è notevole, perché
l’encefalopatia epatica o stupore epatico o coma epatico, secondo le
denominazioni classiche della nosografia internistica, ha avuto una compiuta
descrizione da parte di Adams e Foley già oltre 60 anni fa, ma il capitolo
della sua patogenesi nei trattati ancor oggi è un elenco di teorie e ipotesi in
grado di razionalizzare alcune evidenze certe.
Ora, Xiaolong He e un numerosissimo team
di ricercatori facenti capo a 25 istituti scientifici diversi, costruendo
moduli intestino-cervello per rilevare e valutare neurotossine batteriche da
banche dati metagenomiche, hanno ottenuto risultati di sicuro interesse che,
oltre a fornire un contributo di conoscenza più generale sulla biologia
dell’asse intestino-cervello, presentano un nuovo target per gli studi
sulla prevenzione e sulla terapia dell’encefalopatia da cirrosi epatica.
(He
X. et al., The gut-brain axis underlying hepatic encephalopathy in liver
cirrhosis. Nature Medicine – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41591-024-03405-9, 2025).
La provenienza degli autori
è prevalentemente la seguente:
Microbiome Medicine Center, Department of Laboratory Medicine, Zhujiang Hospital, Southern Medical University, Guangzhou
(Cina); Shandong Provincial Key Laboratory of Synthetic Biology, Qingdao C1
Refinery Engineering Research Center, Chinese Academy of Sciences, Qingdao
(Cina); Department of Gastroenterology and Hepatology, Tianjin Third Central
Hospital, Tianjin (Cina); Department of Gastroenterology, West China Hospital,
Sichuan University, Chengdu (Cina); State Key Laboratory of Bioactive Substance
and Function of Natural Medicines, Chinese Academy of Medical Sciences and
Peking Union Medical College, Beijing (Cina); Department of Clinical Laboratory,
The Sixth Affiliated Hospital, Sun Yat-sen University, Guangzhou (Cina); Key
Laboratory of Mental Health of the Ministry of Education, Southern Medical
University, Guangzhou (Cina); Guangdong Provincial Clinical Research Center for
Laboratory Medicine, Guangzhou (Cina); UNSW Microbiome Research Centre, School
of Clinical Medicine, UNSW Medicine & Health, UNSW SIDNEY, Sidney, New
South Wales (Australia).
Le
manifestazioni cliniche più comuni dell’encefalopatia epatica includono una
gamma di alterazioni della coscienza che vanno da un rallentamento mentale al
disorientamento spazio-temporale (confusione), a volte con fasi di iperattività
seguite da sonnolenza, stupore e coma. Lo stato confusionale, quando presente,
si combina con una contrazione muscolare sostenuta, che appare a intermittenza:
questo fenomeno fu descritto per la prima volta da Adams e Foley che lo
chiamarono asterixis, dal greco sterixis, “posizione fissa”. Ora questa
manifestazione si considera un segno comune a varie encefalopatie metaboliche,
ma è sicuramente più marcato nella forma di origine epatica.
Non è questa
la sede per dettagliare le varie forme cliniche, qui ci limitiamo a ricordare
che in molti pazienti è possibile rilevare un’estesa circolazione collaterale
porto-sistemica, da cui la denominazione di encefalopatia porto-sistemica,
caratterizzata da un grado di disturbo mentale associato al livello di
ammoniaca nel sangue e all’intolleranza a proteine della dieta.
Da un punto
vista neuropatologico non possiamo non menzionare il celebre e sorprendente
rilievo post-mortem di Adams e Foley di un enorme incremento di numero e
dimensioni di astrociti protoplasmatici negli strati profondi della corteccia,
nel nucleo lenticolare, nel talamo, nella substantia nigra, nel nucleo
rosso, nei nuclei pontini, nella corteccia del cervelletto e nel nucleo
dentato. Questi astrociti anomali, descritti per la prima volta da Alzheimer e
von Hosslin nel 1912 in un paziente con malattia di
Wilson (pseudosclerosi di Westphal-Strümpel),
contengono inclusioni di glicogeno e sono chiamati astrociti di Alzheimer di
tipo II.
La teoria
patogenetica “storica” considera l’alterato metabolismo dell’azoto la causa
principale del coma: l’ammoniaca, formata nell’intestino dall’azione di
organismi contenenti ureasi sulle proteine della dieta, giunge al fegato con la
circolazione portale ma non viene convertita in urea per il danno
epatocellulare e per lo shunt porto-sistemico. Un’altra teoria
patogenetica afferma che nei pazienti cirrotici la fisiologia del sistema
nervoso centrale è alterata dai fenoli o dagli acidi grassi a catena corta
derivati dalla dieta o dal metabolismo batterico dei carboidrati. Una terza
teoria sostiene che amine biogene come l’octopamina,
che compaiono nell’intestino e bypassano il fegato, possano agire come falsi
neurotrasmettitori, spiazzando dopamina e noradrenalina nel legame ai
rispettivi recettori. Una teoria avanzata da Zieve,
sulla base di evidenze sperimentali, indica i mercaptani non rimossi dal fegato
quali composti in grado di agire in concomitanza con la NH3 nel
produrre il danno encefalopatico. Ancora, alcuni hanno indicato il manganese
come neurotossina che sarebbe in questione nel danno cerebrale da cirrosi
epatica; l’elenco prosegue, ma noi ci fermiamo qui con queste nozioni
introduttive e ritorniamo allo studio qui recensito, che sembra aver
identificato un nuovo bersaglio per la terapia di questa encefalopatia.
Xiaolong He e i suoi numerosi colleghi hanno allestito dei moduli
intestino-cervello per identificare e analizzare neurotossine batteriche
potenzialmente responsabili, almeno in parte, dei processi neuropatologici che
caratterizzano l’encefalopatia da cirrosi epatica. L’analisi è stata effettuata
basandosi su banche dati metagenomiche. I ricercatori hanno rilevato che i geni
della fenilalanina decarbossilasi (PDC), prevalentemente provenienti
dalla specie Ruminococcus gnavus, aumentavano approssimativamente di 10 volte nei
pazienti diagnosticati di cirrosi epatica e raggiungevano livelli ancora più
alti nei cirrotici che avevano già sviluppato encefalopatia epatica.
I ricercatori hanno proceduto agli esperimenti di colonizzazione
intestinale di topi sani e topi affetti da cirrosi secondo il modello della
patologia umana. I topi cirrotici, colonizzati con Ruminococcus
gnavus, presentavano un accumulo di feniletilamina
(PEA) cerebrale, accanto a un corteo sintomatologico e di segni tipicamente
rilevati nei pazienti ammalati di encefalopatia cirrotica, fra cui: deficit
vari di memoria, tremore bilaterale simmetrico, perdita di neuroni specifica
nella corteccia cerebrale. Nei topi sani la colonizzazione con la stessa specie
batterica non sortiva alcuno di questi effetti patologici.
L’accumulo di PEA cerebrale è risultato essere primariamente causato
dalla diminuzione dell’attività dell’enzima monoamminossidasi-B (MAO-B), sia
nel fegato che nel siero, prodotta dalla fisiopatologia cirrotica. La verifica
della responsabilità causale è stata ottenuta da He e colleghi con terapie
sperimentali mirate indipendentemente ai due bersagli: la fenilalanina
decarbossilasi (PDC) e la feniletilamina (PEA), col risultato di
ottenere con entrambi i trattamenti la scomparsa dei sintomi neurologici
causati dall’accumulo feniletilaminico cerebrale.
Il passo successivo dello studio è consistito nel trapianto di microbiota
fecale di pazienti affetti da cirrosi epatica, con encefalopatia da patologia
cirrotica del fegato, nell’intestino di topi cirrotici ma privi di germi: il
risultato è emerso immediatamente con la comparsa degli stessi sintomi
neurologici rilevanti per la diagnosi dell’encefalopatia umana. L’azione mirata
su PDC o PEA sortiva anche in questo caso effetti terapeutici evidenti.
L’indagine sul livello clinico associata a questa sperimentazione ha
rivelato, mediante procedure di shunt porto-sistemico intraepatico, che
i livelli di base di PEA molto alti erano associati a un rischio 7 volte
maggiore di sviluppare l’encefalopatia epatica.
In conclusione, l’insieme dei dati emersi, per il cui dettaglio si rinvia
alla lettura del testo integrale dell’articolo originale, costituisce un
contributo agli studi sull’asse intestino-cervello e, soprattutto, identificano
un predittivo e promettente bersaglio terapeutico per l’encefalopatia causata
da cirrosi epatica.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane
Richmond
BM&L-18 gennaio 2025
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